Incontro

Racconto di Orrore 💀

Auttore: Davide Lo Schiavo

“Dapprincipio non ho fatto caso al rumore. Veniva dal pianerottolo ed era come un lievissimo rosicchiare di topo, mescolato ai tanti cigolii, ronzii, tonfi condominiali, al rumore basso continuo del traffico cinque piani più sotto. Uno di quei suoni piccoli, insinuanti. Mi si è infilato nelle orecchie, e proprio perché era un suono così leggero, per un po’ non ci ho fatto caso ma ad un tratto…”

INCONTRO CON LA MORTE
Ad un tratto la luce saltò e rimasi completamente immobile nel buio. Ora lo sentivo bene, come un tarlo, il rumore sadico e sottile era sorprendentemente in grado di trapanarmi la testa. Si insinuava come una siringa nel mio cervello fino a farne scoppiare i nervi; non sapevo da cosa fosse provocato e un’ombra di panico mi avvolgeva.
Cercai di muovere un passo per schiodarmi dalla mia posizione e andare a ripristinare la corrente, e d’un tratto un lampo squarciò il cielo seguito dall’esplosione del tuono. Urlai, mi sembrò che il cuore mi esplodesse nel petto, caddi all’indietro e pestai violentemente la testa contro la mia scrivania in noce.
Un rivolo di sangue mi arrivò fino alla bocca. Mi toccai la fronte, era tutto a posto, neanche un minimo taglietto. Mi ispezionai allora tutta la testa per benino ma non rinvenni alcun segno di contusione…Eppure il sangue, quello c’era, caldo sulle mie labbra.

-Maledizione!- Non potevo avere paura! Di che cosa poi, ero un uomo adulto, senza luce in casa terrorizzato da un temporale e per giunta se la corrente non fosse tornata entro breve, sarebbe andata a finire che il cibo dentro il frigorifero, si sarebbe liquefatto.

Una volta che in casa tornò la luce, andai davanti allo specchio e sussultai: vidi un uomo incatenato ad una parete, sanguinante e in fin di vita.
Sbattei le palpebre, l’uomo mi fissava, poi una smorfia infernale gli si dipinse in volto e iniziò ad urlare come una creatura irreale tendendo le mani verso di me, quasi a volermi afferrare. Era lontano, incatenato alla parete di quella che sembrava una stanza delle torture, ma le sue braccia protese verso di me mi terrorizzarono.

Urlai e mi costrinsi a distogliere lo sguardo, chiusi gli occhi e serrai i pugni cercando di cancellare dalla mente la diabolica visione, e poi, pian piano, riaprì gli occhi.

Un urlo agghiacciante mi sconvolse e un altro lampo in cielo dipinse un’ombra maligna sulla parete per un istante, il ruggito del tuono mi fece di nuovo rabbrividire. Tremante volsi lo sguardo allo specchio e mi vidi per terra come un coniglio impaurito, madido di sudore e terrorizzato. Mi alzai imprecando e mi diressi in cucina.

Qualche ora dopo, ero impegnato a bere la mia terza camomilla, quando, saranno state le due di notte, sentii delle risa provenire da non so dove.
-Miriam, sei tu?- Era assurdo, ma mia sorella le poche volte che veniva a trovarmi lo faceva nei momenti più insoliti, una volta arrivò addirittura alle quattro di notte ed io
fui costretto a prepararle un the e a discutere su zia Rosy e su quanto erano belle le estati passate in campagna.

Nessuno, però, mi rispose. Andai a controllare la porta d’ingresso e guardai dallo spioncino, sul pianerottolo del quinto piano, non c’era nessuno. Quelle voci provenivano certamente da dentro casa mia. Le dimenticai e tornai in cucina, afferrai la maniglia del frigorifero e aprii lo sportello. Lanciai un urlo così forte che mi fece male la gola; lo rividi, o almeno, rividi la sua testa.
Appoggiata su un ripiano del frigo, stava la testa che mi sembrò quella dell’uomo di prima; lo sguardo deturpato dal terrore, gli occhi fissi nel vuoto e la bocca contratta in una smorfia diabolica. Il volto era violaceo e tumefatto e un profondo taglio solcava una guancia. Poi, all’improvviso, dalla gola di quella cosa ributtante, iniziò a sgorgare a fiotti del sangue che si riversò tutt’intorno ribollendo come fosse vivo.
Non resistetti più. Le cose erano due: o ero pazzo, o qualcuno doveva pagare questo scherzo e se era una sfida, aveva trovato pane per i suoi denti.
Corsi a prendere il telefono, lasciando quella cosa sanguinante nel frigorifero, e composi il numero della polizia; ma era come se il telefono fosse morto.
Allora tornai in cucina, con decisione mi voltai verso lo sportello del frigorifero rimasto aperto. Un cartone del latte era a terra nel quadrato di luce sul pavimento,
il suo contenuto si stava riversando sulle mattonelle.

La mattina del giorno seguente mi alzai con un forte mal di testa e un gran senso di nausea. Decisi di non andare al giornale. Quella notte era stata un incubo e non avevo più chiuso occhio. Pensai che dopotutto, avevo forse esagerato con il Martini, ecco spiegato tutto il trambusto della notte passata.
Io, Michael John Fox, giornalista al Montgomery News di Saint Francisco, giuro di non aver mai provato un’esperienza simile: terrore puro!
È da un quasi anno che lavoro alla redazione del giornale e più precisamente mi occupo di casi molto speciali, avvistamenti extraterrestri, misteriose scomparse e altre cose che riscontrano tra i lettori numerosi scettici. Io posso affermare di avere avuto numerosi incontri misteriosi con creature bizzarre, ma purtroppo
sono in pochi a credermi e i miei ricordi sono spesso confusi e distorti. Per questo motivo, che mi crediate o no, ho aperto questa “rubrica del paranormale”, sul settimanale.
Quel giorno decisi di andare a comprare le sigarette e verso le sei del pomeriggio uscii di casa.
Al mio ritorno incontrai sul pianerottolo del primo piano, il portiere, e lo salutai: – ‘Giorno Roger, come andiamo oggi?- Quello per tutta risposta alzò la testa e senza guardarmi, grugnì un ” nulla di nuovo signor Fox”.

È una brava persona Roger Wilcox, ma come molti di mia conoscenza, nei miei confronti è un po’ schivo e indifferente, spero non sia anche lui uno scettico.
-Ha buttato giù un bell’acquazzone ieri sera, eh Roger?-
Mi fissò attentamente e disse: – Questa non so proprio da dove l’abbia pescata! Ieri sono stato fuori tutta la sera con mia moglie, brava donna lei, e non ha versato neanche una goccia! Vada a raccontare le sue stramberie altrove, e mi creda non è entrato nessuno verso le due di ieri notte in casa sua!-
-E lei come…-

  • Non dovevo acc…- sbarrò gli occhi, lasciò cadere la scopa che aveva in mano e scappò in direzione delle cantine.
    Rimasi per qualche attimo sorpreso e confuso, poi mi misi a corrergli dietro urlando di fermarsi; – Non so nulla, mi creda!- era la risposta che echeggiava nei corridoi dello scantinato. La luce era fioca, portata solo da piccole lampadine che
    pendevano dal soffitto scrostato e grigio. C’era un forte odore di chiuso e le file di porte, ingiallite dal tempo e dall’umidità, seguivano il mio passo costante in quel labirinto. Avevamo uno scantinato enorme per una palazzina di soli cinque piani, era possibile perdercisi.
    La mia premura ora, era ritrovare Roger, perché se sapeva qualcosa, doveva parlare.

Poi, d’un tratto accadde una cosa paranormale, fra i vecchi e bui corridoi fu come se scendesse la nebbia, un denso fumo bianco aleggiò a mezz’aria e l’ambiente intorno sembrò trasformarsi: le porte ora, non erano più giallastre e in disfacimento, erano color della pietra, fredde al tatto e ricoperte ai lati, sugli stipiti, di uno strano muschio verde e salmastro. Le porte, non erano più in legno, ma in pietra.
I corridoi si erano ingrossati, nessuna lampadina appesa al soffitto, ma treppiedi con fiamme vermiglie, davano una luce tremolante. Sui muri poi, ancora quel muschio.
Ma dove ero finito? Come era possibile tutto ciò…
Urlai il nome del portiere e la mia voce echeggiò rimbalzando sui muri dandomi l’impressione che quei corridoi fossero un labirinto infinito. Una sorta di mal di stomaco iniziava a prendermi e forse mi vergogno ad ammettere che avevo paura. Faceva freddo laggiù, e anche se era l’inverno di un’annata particolarmente fredda (il ’95 fu davvero molto freddo), non mi sembrava normale che le cantine fossero ghiacciate.

Lo strano fumo si stava addensando sempre più e mi impediva di vedere, quindi avanzai con cautela rasentando la parete e sussultando ad ogni viscido contatto con lo strano muschio. Notai che su ogni porta erano incise delle lettere, la lingua mi era sconosciuta, e inoltre a intervalli regolari, nelle pareti c’erano delle specie di loculi tombali. Fu allora che il mio fiuto per il paranormale mi disse che mi trovavo davanti a una specie di…di necropoli.
Certo era un bello scoop, sapere che una palazzina comune di Saint Francisco, sorgeva su una necropoli di chissà quanti anni e che…
Fu come un dardo conficcatosi nel mio cervello. Lieve e sinuoso riavvertì, come la sera prima, lo strano rumore.
Era molto vicino e ne cercai disperatamente la fonte, ciò mi condusse davanti ad una grande porta in pietra lavorata. Era molto bella, con numerose incisioni e disegni antichi.

Poi, all’improvviso sentii ancora quelle risa, una forte luce invase i corridoi seguita da un tuono e poi si spense. Un vento pestilenziale iniziò a soffiare nei corridoi, così forte, mi tagliava il viso.
La grande porta dinnanzi a me, iniziò a traballare e a vibrare, il rumore crebbe fino ad essere insopportabile e tutto alla fine, esplose.
La porta si disfece in mille pezzi che mi ferirono e dall’ombra della camera sepolcrale lasciata aperta, ne uscì il mio incubo.
Sanguinante e barcollante, ecco l’uomo nello specchio, identico alla notte passata.
Avanzava piano, ma inesorabilmente, le braccia tese, lo sguardo sbarrato da un’agonia di morte e un sussurro lieve e dolce dalla sua bocca insanguinata, frasi insensate che ad ogni parola erano come una pugnalata.
Il buio poi, mi avvolse.

Pian piano aprii un occhio, poi l’altro. Ero disteso su un morbido ripiano e girando la testa potevo scorgere alcune persone che parlottavano. Le loro voci erano come distorte e confuse, lontane, molto lontane.
-Buona sera signora, disse uno che mi sembrava un poliziotto, è lei la portinaia del condominio, vero? – Sì, sono io- rispose una donnetta bassa e magra.
-Bene, il medico e l’ambulanza sono qui fuori. Ci può raccontare cosa è in effetti successo? E prima di tutto, mi permetta la domanda, lei è la sola qui?Non ha un marito?- disse il poliziotto.

  • Ecco, sa, mio marito è morto dieci anni fa ed io sono la portinaia di questo piccolo condominio a tre piani, ecco cosa sono. Comunque, il signor Fox è un inquilino del terzo piano da un mese…- Strano, pensai, a me pareva di più. E poi che ne era stato di Roger, della necropoli, dell’uomo incatenato, dell’esplosione! Che mi era accaduto? La donna continuò.
  • Dovete saper che il signor Fox, beh…- e bisbigliò qualcosa sottovoce.
  • Già la notte scorsa lo avevo sentito urlare e così mi ero preoccupata, sono andata a vedere ma era tutto tranquillo, allora me ne sono andata. Poi oggi l’ho trovato nella cantina, tutto sudato e tremante, vicino al locale caldaia. Aveva le mani tagliate e il vetro della cabina della caldaia era rotto in mille pezzi. Urlava come… e allora vi ho chiamato. Ecco tutto-
    La donna mi fissò e io evitai il suo sguardo. Diressi il mio sguardo vuoto sul soffitto.

Ciò che aveva detto era senza senso.
D’un tratto mi accorsi che qualcosa iniziò a colarmi sul viso, era caldo e mi arrivò in bocca ma non ne sentii il gusto. Girai la testa e mi trovai faccia a faccia con il mostro.
Era all’altezza del mio viso e mi sanguinava addosso.
Urlai e cercai di scappare ma non ci riuscii. Ero legato ad una barella.
Continuai a dibattermi e ad urlare. Fu allora che entrarono altri mostri uguali al primo, mi fecero qualcosa ad un braccio e mi portarono in un camion con delle strane luci.
Poco dopo, arrivammo ad una strana prigione; io continuavo ad urlare e loro mi pungevano il braccio, parlavano tutti una lingua strana e quando, sempre sulla barella, entrai nella loro prigione bianca, riuscì a catturare una frase dei loro frenetici discorsi:

Reparto schizofrenia, presto!- Ma non capii mai cosa volesse dire.

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